Cremona (2011) |
Nell’ultimo numero di Riza Psicosomatica Raffaele Morelli scrive: “Ci vogliono due occhi per fare un lavoro come il mio: uno che guarda le cose che accadono e l’altro che cerca in ogni cosa l’infinito che non si vede”.
Credo che questo doppio sguardo appartenga non solo all’analista, ma anche al fotografo, perché il fotografo non si limita a guardare la banalità quotidiana, ma scava, ascolta, esplora la realtà, come un rabdomante in cerca della fonte d’acqua. Un esploratore dell’invisibile.
Il fotografo è sempre esploratore, sia che si tratti di sottolineare le forme del mondo, le sue geometrie; o di cogliere una storia in uno sguardo, in un gesto; o di vedere in un paesaggio lo spirito del luogo.
Lo sguardo del fotografo è uno sguardo multiplo, che agisce a più latitudini: geologo, agrimensore, matematico, narratore, poeta, pittore, sociologo, filosofo, esteta, collezionista, storico, archivista …
Uno sguardo eteronimo, che appartiene a più persone. Uno sguardo che confluisce, per dirla con Pessoa, in una sola moltitudine.
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