Occhiomagico, Le due verità (1974) |
A volte la strada della fotografia è un sentiero
tra i tanti che si stanno percorrendo o cercando. Ed è qui che interviene il
Caso (il Fato, se volete), sotto forma di incontro fortunato con una Scuola o
di silenzio notturno in cui tutto è più chiaro e la fotografia, da possibilità
tra le tante, diventa il proprio elemento naturale. Come racconta, in questa
piccola intervista, Occhiomagico (Giancarlo Maiocchi).
Quale è stata la scintilla che ti ha spinto ad
abbracciare la fotografia?
Un caso…
Avrei voluto essere un grafico, ma capitai all’attuale Bauer dove mi iscrissi al corso sperimentale
di fotografia, avevo 15 anni. Me ne innamorai.
Quando e dove, se lo ricordi, è successo che ti sei
detto: « Io non posso essere altro che fotografo »?
Di notte.
Riflettevo sulle tante attività che stavo svolgendo: musicista, film maker, grafico,
padre, artista, artista fotografo… scelsi la fotografia. Avevo circa
trent’anni.E’ stata una fascinazione d’istinto, emotiva o era già un’attrazione intellettuale, estetica?
La fotografia mi pare sia l’elemento in cui riesco a nuotare con più facilità. Penso, progetto e opplà …. diventa un’immagine fotografica.
Ogni mia
fotografia è una “dichiarazione” da “leggere”, non tanto da guardare. Meglio
scrutare oltre la pellicola visibile, aldilà.Sin da
piccolo, ricordo, non mi era possibile accettare la realtà visibile, la realtà vissuta.
Ho sempre immaginato altri mondi paralleli… la fotografia mi permette di
renderli pubblici e credibili.
Quale è stata la tua prima macchina fotografica e
quali sono state le prime immagini che hai scattato? Le conservi ancora?
Non
ricordo la marca della prima macchina fotografica, la comprò mio padre per la
famiglia. Non conservo quasi nulla.Occhiomagico, Je n'existe plus (2011) |
Ti ricordi cosa hai provato quando hai guardato per
la prima volta il mondo attraverso un mirino?
Ricordo
quando ho osservato per la prima volta attraverso l’occhiolino (detto occhio
magico) della porta d’ingresso. Ci stavo delle ore aspettando che passasse
gente per vederla distorta dalla lente fish eye.
Questo Imprinting ha fatto di me quel che sono:
uno che sogna altro accanto, attorno a sé. Eppure c’è una parte razionale che,
ogni tanto, mi costringe a terra. Ho subito infinite delusioni e, qualche
volta, ho sorriso. Ora ho imparato a stare un po’ qua e un po’ là, mi trovo
meglio.
Eppure
non mi accontento mai, mi sembra sempre di non essere dove vorrei (cosa comune
a molti di noi). Spero sempre di trovare quel varco che mi permetterà di andare
di là, dove scoprirò che ci sarà un altro “oltre” e poi ancora e ancora e
ancora.
Giancarlo
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