lunedì 3 dicembre 2012

Marco Benna. Perché sono diventato fotografo


“Forse la fotografia nasce dalla pancia, vive nella testa e si manifesta agli occhi”. Dopo queste parole del fotografo Marco Benna faccio un passo indietro e rinuncio a scrivere il cappello introduttivo all’intervista di oggi. Lascio che a parlare sia subito l’amico Marco: il  modo migliore per farci   accompagnare dentro i suoi ricordi, il suo racconto, il suo mondo fotografico. 



Marco Benna, La mia prima fotografia



Marco Benna. Perché sono diventato fotografo

Fotografare intorno ad un fatto, a persone che si raccontano con le loro azioni. Con il desiderio di costruire un rapporto tra le cose, con le cose. Forse la fotografia nasce dalla pancia, vive nella testa e si manifesta agli occhi. Spesso violenta le persone, non c’è dubbio. Prima o poi un signore chiederà spiegazione.

La fotografia racconta di qualcosa, di qualcuno, di sé come apparato, al punto che alcune foto, diciamolo, si scattano da sole. Ma con grande cortesia verso il fotografo.

Fotografare per me è come trovare un luogo dove sospendere il tempo e provare a scoprire, nel senso di scoperchiare. Può durare un attimo o non finire mai.

Marco, quale è stata la scintilla che ti ha spinto ad abbracciare la fotografia?

Onestamente non so individuare un momento specifico, un inizio. So che ho iniziato in quel periodo della vita dove l’adolescenza sta finendo e ci si guarda intorno. E ho iniziato a scoprire, nel senso di scoperchiarla, la musica e la fotografia.

Quando (e dove, se lo ricordi) è successo che, quasi improvvisamente, ti sei detto: « Io non posso essere altro che fotografo »?

Più che un momento, c’è netta la sensazione del legame. Di un legame che si saldava scatto dopo scatto. E di una necessità nel considerare la fotografia vitale, per continuare, forse, ad essere un ragazzo e un giovane che cercava un suo posto nel mondo. 

E’ stata una fascinazione istintiva, emotiva o era già un’attrazione intellettuale, estetica?

Credo tutto insieme. Anche oggi non separo così nettamente istinto ed emozione dalla dimensione intellettuale ed estetica. Fin da subito, però, ricordo che mi piaceva guardare le fotografie e mi sembrava di coglierne le differenze. Spesso anche giudicando, come si fa da ragazzini, terribilmente.

A quale incontro devi la tua passione iniziale? Con una persona, un fotografo, un’immagine, una mostra, un libro, un regalo, un luogo. O con il Caso?

Nella fase iniziale credo che la competizione con un mio amico sia stato la molla che ha fatto partire il tutto. Nulla di romantico. Credo proprio una sana competizione. Fotografia e musica per entrambi. E lui aveva una macchina fotografica che ancora non avevo, me l’ha prestata e ho iniziato.

E’ stata una folgorazione immediata (per intenderci: come la caduta da cavallo di San Paolo sulla strada di Damasco) o una passione che ha avuto bisogno di una gestazione più lunga, più meditata?

Più vicino all’innamoramento. Poi, nel giro di pochi anni, si è consolidato un rapporto fatto anche di letture, di mostre importanti – Venezia '79 -  di riviste, di incontri.

Nella tua genealogia fotografica personale ci sono stati esempi di fotografi in casa, tra i parenti o gli amici, oppure sei entrato nel mondo della fotografia da solo, seguendo una strada tutta tua?

All’inizio autodidatta totale, e solo un po’ più avanti, nel tempo, ho seguito diversi workshop e un corso di fotografia all’interno di una scuola sperimentale in Rai, tra i 24 e i 26 anni. In gioventù la fotografia che mi ha appassionato da subito è stato il reportage. Ma erano anche gli anni ‘70, le manifestazioni, l’impegno politico, gli amici.

Quale è stata la tua prima macchina fotografica e quali sono state le prime immagini che hai scattato? Le conservi ancora?

Olympus OM1. Che conservo e che talvolta uso ancora, sia per mantenerla attiva, sia per fotografare in quell’unico modo che la macchina consente: manuale, senza scampo.

Ti ricordi cosa hai provato quando hai guardato per la prima volta il mondo attraverso un mirino?

WOW! ci siamo!!

E cosa hai provato quando hai guardato le prime immagini scattate da te? O quando le hai viste affiorare in camera oscura?

Beh, emozione è poco. Come molti che sono passati da quell’esperienza, c’è proprio della magia nel vedere le immagini che arrivano. E che spesso le prime volte se ne scappano via, annerendosi. Una gioia mista ad incazzatura. E’ divertente ricordarsi quei momenti. C’è una dimensione alchemica, di scoperta di un mondo e credo anche di un potere. Quello di saper governare quel processo. Più o meno illusoriamente, non importa, ma quella sensazione c’è!

Quando hai capito che la tua passione iniziale si era trasformata in una necessità, vale a dire: quando la fotografia non è più stata solo un desiderio, ma è diventata un linguaggio?  

Abbastanza alla svelta. Dal punto di vista della necessità l’avvertivo, in modo molto istintivo. Nel ‘79 andando alla grande mostra a Venezia, e avevo 20 anni, lì capisco ciò che stavo intuendo da un po’. Che la fotografia è un mondo, variegato, ricco, e che dovevo imparare ancora tanto, ma tanto. Dal punto di vista del linguaggio credo di aver avuto velocemente la sensazione di ottenere un risultato grazie alla manipolazione (come nella plastilina) di un linguaggio.

Quale è stata la formazione, il percorso di crescita (studi, maestri, immagini, esperienze) che ti ha condotto dalle prime immagini al fotografo che sei oggi?   

Come dicevo, all’inizio da autodidatta. Confronti con gli amici, alcuni più grandi passavano le prime informazioni e da subito, parliamo tra i 15 e i 16 anni circa, buttati su riviste, a caso ovviamente, a guardare le fotografie. Per cui chissà chi mi ha veramente influenzato. Ma fotografando ai cortei, e nei momenti della politica, il reportage italiano, in particolare Uliano Lucas, mi stimolava. Sono arrivate le riviste come il Diaframma di Lanfranco Colombo, e le altre più commerciali come Photo e Zoom, ma attente alla qualità fotografica, oppure lo straordinario periodo dell’Illustrazione Italiana, con sempre U.Lucas come photo editor (ma mi sembra che allora non si chiamasse così) . Per cui, più che nomi particolari credo che mi sia fatto influenzare da un tipo di approccio alla fotografia, forse più ampio e consapevole dei diversi livelli in cui si manifesta. E ancora oggi i nomi mi interessano, certo, ma mi interessa comprendere la fotografia come sistema, come mondo. Verso i 25 anni, nella scuola prima citata, è arrivato un corso sul linguaggio fotografico, gestito da Franco Torriani, maestro indiscusso di faccende d’azienda e di arte, e ancor oggi caro amico e il primo workshop con F. Fontana. Poi una collaborazione con un giornalista per iniziare a fare sul serio. E’ durata due anni e poi mi hanno fregato quasi tutto. E per diverse ragioni la carriera professionale finisce lì. 

Dopo una decina d’anni, o poco più, complice il figlio che si stava diplomando in fotografia e grazie a un suo bel lavoro sui compagni di classe, mi sono riconnesso con il gusto del fotografare, mai spento del tutto, ma un po’ affievolito. E così ho iniziato un lavoro, chiamiamolo autoriale, per capirci, svincolato dall’impegno professionale. D’altronde il lavoro di comunicatore mi portava e mi porta a dialogare continuamente con la fotografia e i fotografi.

E oltre al fotografare è rinato anche un interesse verso la fotografia come fatto culturale e sociale. Da lì inizio ad occuparmi di workshop, laboratori e seminari, anche un po’ particolari. In questo momento è in evoluzione un progetto di taglio culturale, abbastanza impegnativo. Se funziona ne riparleremo.

Trovo che a distanza di 38 anni dalla mia prima foto si intravedono le tracce di un'identità visiva  (M. Benna)


Cos’è oggi la fotografia, per me? E innanzi tutto fotografare, portare avanti i progetti fotografici e produrne visibilità con mostre e con il web. E’ anche concepire la fotografia per quello che è nel suo insieme, un dispositivo che segnala la contemporaneità, le trasformazioni, nel suo rapporto con le reti e i media, con il racconto e le diverse forme estetiche. E la guardo anche da comunicatore. Per questo continua ad affascinarmi, più la conosco e più voglio conoscerla. 

2 commenti:

Anna ha detto...

Seguo Marco da anni. Gli hai fatto delle domande che avrei voluto fargli anche io.

compagnia dei fotografi ha detto...

@Anna Spero (speriamo) di aver fatto un buon lavoro.
Se hai ancora domande da fare a Marco, puoi servirti liberamente dello spazio 'Commenti' del blog. Sono sicuro che Marco ti risponde volentieri.