sabato 31 dicembre 2011

Un gesto lungo settanta anni

Riporto qui l'articolo pubblicato, con altro titolo (Lettura di un'immagine. La foto nella foto), sulla rivista L'Infinito Istante (http://www.infinitoistante.it/) nella sezione Fotografia.


Voglio parlare di un gesto che ho ritrovato in tre fotografie, scattate in tempi e luoghi distanti tra loro, da tre fotografi diversi. E’ un gesto semplice: la mano di una donna che mostra la fotografia di un familiare scomparso. Un gesto che Robert Capa nel 1943 a Napoli, Ernst Haas nel 1947 a Vienna e Larry Towell nel settembre 2001 a New York hanno posto come baricentro visivo delle loro inquadrature. Un  unico, doloroso gesto lungo oltre settanta anni, ma con accenti emotivi che cadono in modi sempre diversi.  

Trovarsi di fronte ad una fotografia che contiene un’altra fotografia è una faccenda un po’ complessa. Può indicare, ad esempio, che il fotografo non è interessato solo al presente, ma che percepisce nel qui e ora dell’attimo, il peso e la presenza del Passato o di un Altrove. In questo senso, fotografare un’altra fotografia significa dare all’immagine una profondità storica che si innesta sulla profondità spaziale. E’ ciò che ha fatto, ad esempio, Mario Cresci ritraendo i contadini che posavano per lui tenendo tra le mani i ritratti dei loro antenati. Una pennellata di Tempo che parte dal presente e risale gli strati della memoria in una ricostruzione genealogica della realtà.

Una faccenda complessa, insomma, che si complica ancora di più se ci domandiamo che tipo di rapporto esiste tra quel rettangolo di carta chiamato fotografia e la mano che lo stringe, o se vogliamo misurare la temperatura sentimentale di quel gesto. Domande che spostano la fotografia dal campo della acquisizione meccanica di frammenti di realtà verso territori più intimi, dove la fotografia è vissuta come reliquia, come impronta (o traccia di luce) lasciata dal passaggio, dall’esistenza di qualcuno. Ed è proprio qui, in questo passaggio che si gioca la partita emotiva di queste tre fotografie. 


Robert Capa


L’immagine di Robert Capa è fotografia di guerra, scattata a Napoli il 2 ottobre 1943 durante i funerali di venti partigiani, studenti del Liceo Sannazzaro al Vomero. I ragazzi, guidati da un loro insegnante, avevano combattuto contro i tedeschi per quattro giorni prima dell’arrivo degli alleati. Queste le notizie della didascalia editoriale. Ciò che colpisce, di questo sterminato dolore, è lo strazio collettivo che si coagula intorno alla fotografia dello studente morto, un dolore che prende la forma di un coro tragico. Un coro solidale e pieno di compassione che si stringe, in un compianto, intorno alla fotografia esposta come un corpo simbolico.

Ernst Haas, 1947


Sono bastati pochi anni e già nel 1947, a guerra finita, tutta questa compassione, tutta questa solidarietà si sono ritirate, come un abito diventato troppo stretto. In quell’anno, Ernst Haas si aggirava tra le macerie di una città devastata dalla guerra, tra le rovine di una umanità orfana: non solo strade o case distrutte, ma intere famiglie disperse, spezzate. Haas vaga con lo sguardo in mezzo ai ruderi lasciati dalla guerra dove si muovono in solitudine madri, vedove, orfani, reduci che cercano di ritrovare qualche legame, di ricostruire qualche affetto.
Ritorno degli ultimi prigionieri, così recita la didascalia di questa fotografia presa alla stazione di Vienna. E’ subito evidente lo spazio desolato intorno al quel gesto rimasto solo, senza più il coro a sostenere, in un pianto comune, il dolore di questa madre. Ciò  che rimane, in questa foto, è la composta solitudine di una donna circondata da altre solitudini, colta da Haas in un gesto che sta esaurendo ogni speranza. Questa madre mostra la foto del figlio alla crudele felicità di un sopravvissuto che la ignora, ma non è più l’ostensione simbolica di un corpo, è solo una domanda muta (L’hai visto? Sai darmi qualche notizia di lui?), forse già rassegnata al silenzio.


Larry Towell, 2001

Le immagini di Capa e di Haas sono storie che arrivano al nostro sguardo con il loro carico narrativo e noi, in fondo, guardiamo alle loro tragedie con la sicurezza che prova, dalla spiaggia, il naufrago scampato al pericolo. Ma nella foto di Larry Towell, ripresa al tempo dell’attentato alle Torri Gemelle, in questa foto cosa è cambiato? Come è cambiato quel gesto? Nella severa ripresa frontale di Towell sia lo sguardo della ragazza che mostra la fotografia del familiare sia lo sguardo del volto ritratto sono rivolti a noi. Questa immagine non è più una narrazione da contemplare: è diventata una domanda fatta a noi direttamente: Tu, l’hai vista? Tu, sai darmi qualche notizia di lei? Ecco cosa è cambiato: questa immagine ci coinvolge  non come spettatori, ma come testimoni. E alla sua interrogazione muta possiamo rispondere o scegliendo di sentirci parte di un coro invisibile e partecipe di un dolore che tutti accomuna o di proseguire per la nostra strada nella provvisoria sicurezza di sopravvissuti che guardano, senza riconoscenza, la tempesta da riva.          

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