sabato 21 gennaio 2012

Appunti per un laboratorio sull'oscurità


Evgen Bavcar (1997)

Il buio, è vero, accende la fantasia, ma anche lo sgomento. Ricordo un rientro notturno a Marrakech, con una Fiat Punto bianca presa a noleggio, lungo una strada senza la minima traccia di luce. Ero immerso in un paesaggio senza stelle, senza luna, senza i punti luminosi delle case, senza il riverbero lontano di qualche paese o città. Intuivo le montagne dietro l’oscurità, ma era un paesaggio che in quella tenebra non aveva consistenza. Un paesaggio assente. Credo di non aver mai più visto una notte così nera, se non in mare. Era un buio primordiale, che ingoiava ogni traccia di realtà: come se tutte le cose fossero state cancellate dalla vita. O dovessero ancora apparire. Un nero assoluto che disattivava lo sguardo, rendendolo inutile e silenzioso. Ma al tempo stesso, era una oscurità che accendeva lo sguardo interiore, lo sguardo della memoria, dell’immaginazione. O della paura. Un’oscurità che spegneva anche lo spazio, togliendo profondità e direzione. Mi sentivo abbandonato in un qui che aveva perso ogni significato, perché in quella oscurità non esisteva più un laggiù. Eppure, era uno smarrimento vitale, potente, carico di energia perché spingeva a desiderare nuovamente lo sguardo. Come il desiderio di vita che prende dopo una malattia.

Penso queste cose mentre cerco di mettere ordine tra i materiali per un laboratorio che vorrei tenere sull’oscurità in fotografia. Mi domando in che modo, con quali esercizi, potrò  aiutare i fotografi ad entrare in questa densa condizione di smarrimento e di stupore che l’oscurità offre. Come accompagnarli in questo silenzio della luce che, come i silenzi sonori, ristora e rigenera i sensi? Come aiutarli a intuire gli oggetti, più che a vederli: ricordandoli, annusandoli, toccandoli? O a  intuire la luce stessa, sentendone il calore prima ancora del colore? E come guidarli in questa assenza di profondità, dove la distanza non è più visiva?

O forse devo accompagnarli per gradi, passando prima attraverso l’ombra e la penombra per abituarli, poco alla volta, alla rinuncia della visione ottica e aggrapparsi, così, agli altri sensi?   

Nessun commento: