venerdì 16 novembre 2012

Graziano Perotti. Perché sono diventato fotografo.

La prima copertina di Graziano Perotti (India, Donna che ride)


Le strade della fotografia sono imprevedibili. Sbucano quando meno te lo aspetti, nei luoghi e nei momenti più impensati, magari proprio mentre due compagne di classe stanno leggendo Leopardi. Come racconta Graziano Perotti, fotografo che, in anni ormai lontani, per primo mi ha fatto capire il potere dell’osservazione, quella fatta con pazienza, curiosità e ostinazione. L’osservazione che sa trasformare la materia della vita in fotografia e la fotografia in amore per la Vita. Ecco la sua storia.      

Da bambino avevo dei momenti che avrei voluto “fermare”. Non sapevo niente di fotografia, non conoscevo la macchina fotografica, ma capivo che quei momenti lì avrei voluto “fermarli” nel tempo.

Ricordo la mia prima gita scolastica a Torino, che è stata anche il mio primo viaggio. Io non avevo le possibilità economiche per comprare una macchina fotografica: dovevo accontentarmi di guardare le foto fatte dagli altri. Ma quando, al ritorno, vidi le fotografie scattate da due compagni di classe capii, d’istinto, che erano bruttissime. Più guardavo quelle foto, più mi rendevo conto che non descrivevano la gita, e ancor meno l’atmosfera della gita. Non descrivevano le risa, i canti sul pullman, gli sguardi o le espressioni dei ragazzi che sbirciavano sotto le gonne delle ragazze mentre salivano sulla Mole Antonelliana. Guardando quelle immagini ho capito che ero attratto dalla fotografia, dalle possibilità che mi offriva di fermare l’attimo.

Ricordo la mia prima macchina fotografica: una Cosina tutta manuale. Un amico di mio padre, che lavorava sulle navi petrolifere, la portò dal Giappone e gliela regalò. Io avevo già 16 anni. Erano altri tempi, quando con quella macchina scattavo foto e me le guardavo da solo. Cercavo una situazione fotografica che avevo visto su qualche rivista e ripromettevo a me stesso di farla migliore. In pratica ero fotografo, art director e editore di me stesso. Ma di tutte le foto fatte in quei primi anni non conservo più niente: le ho rinnegate e buttate nel cestino, da tempo.

Ricordo anche cosa ho provato una delle prime volte che ho guardato attraverso il mirino. Avevo portato la macchina in classe per farla vedere a due amici. Scattai una foto a due ragazze sedute nel primo banco e  mentre inquadravo mi sono reso conto che non vedevo più due ragazze sedute, ma due emozioni diverse, due diversi stati d’animo che  leggevano la stessa poesia di Leopardi. Posso dire che quel giorno è iniziata la mia avventura nel mondo della fotografia.

Sono autodidatta, in tutto. In principio mi è servito molto confrontarmi con altri appassionati nei circoli fotografici, leggere libri dei grandi maestri, frequentare mostre di fotografia, ma ancor più di pittura. Poi ho avuto la fortuna di conoscere amici molto più bravi di me e che sono diventati i miei veri maestri: come Francesco Cito (per me il miglior fotoreporter italiano), come i critici fotografici che hanno seguito e segnato il mio percorso professionale (Roberto Mutti, Lanfranco Colombo, Marco Bastianelli, Denis Curti, Giuliana Scimé, Giovanna Chiti, Gianni Maffi). Infine, ho imparato molto da alcuni photo editor: Antonio Petrich, ad esempio, che è stato per anni art director di Meridiani, rivista per la quale ho realizzato molti reportages, anche da inviato. La mia formazione è stata questa: tutta “sul campo”.

Non ho mai creduto nei generi fotografici. E ancora oggi, che di mestiere faccio il fotoreporter, mi affascinano tutte le foto che generano emozione.  Le violon d'Ingres di Man Ray, la Scanno di Giacomelli o i suoi paesaggi, gli Zingari di Koudelka o le Spose di Francesco Cito: immagini di generi differenti, ma tutte con la stessa potenza espressiva ed emozionale. Immagini che non hanno bisogno di essere spiegate: basta il titolo o, al massimo, una didascalia.


Graziano Perotti, Ladak. Stradino sulla Beacon Highway

Con il tempo e le prove continue cui il mondo editoriale mi ha sottoposto,  sono forse diventato ancora più severo nei confronti di me stesso e delle immagini. Per dirla tutta: nonostante gli anni di lavoro in giro per il mondo, le tante pubblicazioni e mostre non sono mai, dal punto di vista fotografico, soddisfatto di me stesso. Ogni volta che vedo lavori di altri fotografi penso che siano tutti molto più bravi e così, se per caso mi sono "esaltato" per una mia foto ben riuscita, scatta ancora - come facevo da giovane - quel momento in cui dico a me stesso: "Graziano, devi fare meglio". Però cerco sempre di mantenermi in uno stato di umiltà e apprendimento continui, affidandomi ai consigli di amici e persone di fiducia [i critici fotografici, Ndr]. Come quando, finalmente libero dai vincoli editoriali, preparo una mostra personale o collettiva: lì, cerco di dare il meglio scegliendo le immagini anche attraverso lo sguardo di persone di fiducia, perché insieme a loro è più facile capire quello che davvero conta in fotografia: capire se un’immagine ha colto nel segno o è rimasta solo un’emozione non trasmessa.


Graziano Perotti, "Capitan" Gregorio Fuentes

Un’ultima cosa. Riflettendo sul perché sono diventato fotografo mi sono anche domandato che cosa la fotografia ha dato alla mia vita. Penso di essere stato fortunato, perché non è stata solo esperienza visiva, ma è stata (e ancora è) la strada che mi ha permesso di incontrare e conoscere persone e culture straordinarie. Mai avrei immaginato, ad esempio, che grazie alla fotografia avrei potuto, un giorno, non solo incontrare uno dei miei miti: Dominique Lapierre (La città della gioia), ma addirittura di averlo come compagno di lavoro in un reportage sulla donna indiana realizzato per Gente Viaggi: "India: La festa di Teej - di Dominique Lapierre - Servizio fotografico di Graziano Perotti". Incontri, esperienze. Come i giorni trascorsi a Cuba in compagnia di Capitan Gregorio Fuentes, il marinaio amico di Hemingway che ha ispirato la figura di Santiago de Il vecchio e il mare (libro che avrò letto almeno dieci volte). Come i giorni sul Rio Napo, in compagnia di un sindacalista che aveva combattuto a fianco di Che Guevara e che ora, sotto falso nome, difende i cercatori d’oro. Tutto questo (e tanto, tanto altro ancora) grazie alla fotografia, che non è solo l’emozione dello scatto, ma è amore ed emozione per la gente, per la Vita.


Graziano Perotti (a sin.) con Dominique Lapierre

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