“Forse la fotografia nasce dalla
pancia, vive nella testa e si manifesta agli occhi”. Dopo queste parole del fotografo Marco Benna faccio un passo indietro e
rinuncio a scrivere il cappello introduttivo all’intervista di oggi. Lascio che
a parlare sia subito l’amico Marco: il
modo migliore per farci accompagnare
dentro i suoi ricordi, il suo racconto, il suo mondo fotografico.
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Marco Benna, La mia prima fotografia |
Marco Benna. Perché sono diventato fotografo
Fotografare
intorno ad un fatto, a persone che si raccontano con le loro azioni. Con il
desiderio di costruire un rapporto tra le cose, con le cose. Forse la
fotografia nasce dalla pancia, vive nella testa e si manifesta agli occhi.
Spesso violenta le persone, non c’è dubbio. Prima o poi un signore chiederà
spiegazione.
La
fotografia racconta di qualcosa, di qualcuno, di sé come apparato, al punto che
alcune foto, diciamolo, si scattano da sole. Ma con grande cortesia verso il
fotografo.
Fotografare
per me è come trovare un luogo dove sospendere il tempo e provare a scoprire,
nel senso di scoperchiare. Può durare un attimo o non finire mai.
Marco, quale
è stata la scintilla che ti ha spinto ad abbracciare la fotografia?
Onestamente non so individuare
un momento specifico, un inizio. So che ho iniziato in quel periodo della vita
dove l’adolescenza sta finendo e ci si guarda intorno. E ho iniziato a
scoprire, nel senso di scoperchiarla, la musica e la fotografia.
Quando
(e dove, se lo ricordi) è successo che, quasi improvvisamente, ti sei detto: «
Io non posso essere altro che fotografo
»?
Più che un momento, c’è netta la
sensazione del legame. Di un legame che si saldava scatto dopo scatto. E di una
necessità nel considerare la fotografia vitale, per continuare, forse, ad
essere un ragazzo e un giovane che cercava un suo posto nel mondo.
E’ stata
una fascinazione istintiva, emotiva o era già un’attrazione intellettuale,
estetica?
Credo
tutto insieme. Anche oggi non separo così nettamente istinto ed emozione dalla
dimensione intellettuale ed estetica. Fin da subito, però, ricordo che mi
piaceva guardare le fotografie e mi sembrava di coglierne le differenze. Spesso
anche giudicando, come si fa da ragazzini, terribilmente.
A quale
incontro devi la tua passione iniziale? Con una persona, un fotografo,
un’immagine, una mostra, un libro, un regalo, un luogo. O con il Caso?
Nella fase iniziale credo che la
competizione con un mio amico sia stato la molla che ha fatto partire il tutto.
Nulla di romantico. Credo proprio una sana competizione. Fotografia e musica
per entrambi. E lui aveva una macchina fotografica che ancora non avevo, me
l’ha prestata e ho iniziato.
E’ stata
una folgorazione immediata (per intenderci: come la caduta da cavallo di San
Paolo sulla strada di Damasco) o una passione che ha avuto bisogno di una
gestazione più lunga, più meditata?
Più vicino all’innamoramento.
Poi, nel giro di pochi anni, si è consolidato un rapporto fatto anche di
letture, di mostre importanti – Venezia '79 - di riviste, di incontri.
Nella
tua genealogia fotografica personale ci sono stati esempi di fotografi in casa,
tra i parenti o gli amici, oppure sei entrato nel mondo della fotografia da
solo, seguendo una strada tutta tua?
All’inizio autodidatta totale, e
solo un po’ più avanti, nel tempo, ho seguito diversi workshop e un corso di
fotografia all’interno di una scuola sperimentale in Rai, tra i 24 e i 26 anni.
In gioventù la fotografia che mi ha appassionato da subito è stato il
reportage. Ma erano anche gli anni ‘70, le manifestazioni, l’impegno politico,
gli amici.
Quale è
stata la tua prima macchina fotografica e quali sono state le prime immagini
che hai scattato? Le conservi ancora?
Olympus OM1. Che conservo e che
talvolta uso ancora, sia per mantenerla attiva, sia per fotografare in
quell’unico modo che la macchina consente: manuale, senza scampo.
Ti ricordi
cosa hai provato quando hai guardato per la prima volta il mondo attraverso un
mirino?
WOW! ci siamo!!
E cosa
hai provato quando hai guardato le prime immagini scattate da te? O quando le
hai viste affiorare in camera oscura?
Beh, emozione è poco. Come molti
che sono passati da quell’esperienza, c’è proprio della magia nel vedere le
immagini che arrivano. E che spesso le prime volte se ne scappano via,
annerendosi. Una gioia mista ad incazzatura. E’ divertente ricordarsi quei
momenti. C’è una dimensione alchemica, di scoperta di un mondo e credo anche di
un potere. Quello di saper governare quel processo. Più o meno illusoriamente,
non importa, ma quella sensazione c’è!
Quando
hai capito che la tua passione iniziale si era trasformata in una necessità, vale a dire: quando la
fotografia non è più stata solo un desiderio, ma è diventata un linguaggio?
Abbastanza
alla svelta. Dal punto di vista della necessità l’avvertivo, in modo molto
istintivo. Nel ‘79 andando alla grande mostra a Venezia, e avevo 20 anni, lì
capisco ciò che stavo intuendo da un po’. Che la fotografia è un mondo,
variegato, ricco, e che dovevo imparare ancora tanto, ma tanto. Dal punto di
vista del linguaggio credo di aver avuto velocemente la sensazione di ottenere
un risultato grazie alla manipolazione (come nella plastilina) di un
linguaggio.
Quale è
stata la formazione, il percorso di crescita (studi, maestri, immagini,
esperienze) che ti ha condotto dalle prime immagini al fotografo che sei
oggi?
Come
dicevo, all’inizio da autodidatta. Confronti con gli amici, alcuni più grandi
passavano le prime informazioni e da subito, parliamo tra i 15 e i 16 anni
circa, buttati su riviste, a caso ovviamente, a guardare le fotografie. Per cui
chissà chi mi ha veramente influenzato. Ma fotografando ai cortei, e nei
momenti della politica, il reportage italiano, in particolare Uliano Lucas, mi stimolava. Sono arrivate le riviste
come il Diaframma di Lanfranco Colombo,
e le altre più commerciali come Photo e Zoom, ma attente alla qualità fotografica, oppure lo straordinario periodo
dell’Illustrazione Italiana, con sempre U.Lucas come photo
editor (ma mi sembra che allora non si chiamasse così) . Per cui, più che nomi
particolari credo che mi sia fatto influenzare da un tipo di approccio alla
fotografia, forse più ampio e consapevole dei diversi livelli in cui si
manifesta. E ancora oggi i nomi mi interessano, certo, ma mi interessa
comprendere la fotografia come sistema, come mondo. Verso i 25 anni, nella
scuola prima citata, è arrivato un corso sul linguaggio fotografico, gestito da
Franco Torriani, maestro
indiscusso di faccende d’azienda e di arte, e ancor oggi caro amico e il primo
workshop con F. Fontana. Poi una
collaborazione con un giornalista per iniziare a fare sul serio. E’ durata due
anni e poi mi hanno fregato quasi tutto. E per diverse ragioni la carriera
professionale finisce lì.
Dopo una
decina d’anni, o poco più, complice il figlio che si stava diplomando in
fotografia e grazie a un suo bel lavoro sui compagni di classe, mi sono
riconnesso con il gusto del fotografare, mai spento del tutto, ma un po’
affievolito. E così ho iniziato un lavoro, chiamiamolo autoriale, per capirci,
svincolato dall’impegno professionale. D’altronde il lavoro di comunicatore mi
portava e mi porta a dialogare continuamente con la fotografia e i fotografi.
E oltre
al fotografare è rinato anche un interesse verso la fotografia come fatto
culturale e sociale. Da lì inizio ad occuparmi di workshop, laboratori e seminari,
anche un po’ particolari. In questo momento è in evoluzione un progetto di
taglio culturale, abbastanza impegnativo. Se funziona ne riparleremo.
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Trovo che a distanza di 38 anni dalla mia prima foto si intravedono le tracce di un'identità visiva (M. Benna) |
Cos’è
oggi la fotografia, per me? E innanzi tutto fotografare, portare avanti i
progetti fotografici e produrne visibilità con mostre e con il web. E’ anche
concepire la fotografia per quello che è nel suo insieme, un dispositivo che
segnala la contemporaneità, le trasformazioni, nel suo rapporto con le reti e i
media, con il racconto e le diverse forme estetiche. E la guardo anche da
comunicatore. Per questo continua ad affascinarmi, più la conosco e più voglio
conoscerla.
2 commenti:
Seguo Marco da anni. Gli hai fatto delle domande che avrei voluto fargli anche io.
@Anna Spero (speriamo) di aver fatto un buon lavoro.
Se hai ancora domande da fare a Marco, puoi servirti liberamente dello spazio 'Commenti' del blog. Sono sicuro che Marco ti risponde volentieri.
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