In un
auto-commento alle sue esplorazioni fotografiche di Roma, Gabriele Basilico, in Leggere
le fotografie in dodici lezioni, Milano, Rizzoli 2012, scrive: Raccontare il fiume [Tevere] come se fosse separato dalla città è forse
un po’ come nascondere quei luoghi storici e monumentali che la rendono [Roma] immediatamente riconoscibile, e quindi è
come sottrarre la città al suo
immaginario arcinoto. E il sottotitolo di questa IX lezione, da cui è
tratta la citazione, contiene un aggettivo che spiega ancora meglio il senso
della frase: Sottrarre la città a un
immaginario abusato.
Cosa significa?
Provo a rispondere analizzando il metodo di lavoro adottato in questa occasione
da Gabriele Basilico. Il fotografo milanese, nel 2007, era stato invitato da FotoGrafia – Festival Internazionale della
Fotografia di Roma, a proporre la sua lettura della città[1].
Cosa ha fatto Basilico? Ha operato da subito uno spiazzamento del punto di
osservazione: invece di esplorare il tessuto urbano da terra, Basilico ha
scelto il Tevere (e i suoi ponti) come “strada fluviale” che attraversa la
città, linea guida del suo itinerario visivo (ho considerato il fiume come vettore che intercetta il tessuto della
città). In questo modo ha preso forma un secondo spiazzamento: il fiume è diventato il soggetto
dell’esplorazione (…) chiedendo
sempre più attenzione fino a escludere la città, confinandone l’immagine dietro gli argini. In altre parole: il
fiume ha messo in secondo piano la città e i suoi monumenti, cioè ha tolto
la scena a tutti gli elementi
dell’immaginario che concorrono al riconoscimento facile ed immediato (abusato)
di Roma.
Dunque,
un modo per sottrarre il soggetto agli automatismi percettivi messi in moto da
un immaginario ‘abusato’ è quello di spingere sullo sfondo, “dietro gli argini”,
gli elementi caratteristici con i quali noi riconosciamo, d’abitudine, un soggetto.
Ne è un classico esempio questa foto di Man Ray
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Man Ray |
dove i
chiodi in primo piano spingono sullo sfondo il peso (visuale e percettivo) del ferro
da stiro e delle sue qualità abituali. Con quale risultato? In questa
configurazione l’immagine lascia emergere un oggetto “altro”, un oggetto che
l’immaginario non riconosce immediatamente perché collocato fuori da quella
“zona di comfort” percettiva che l’abitudine costruisce quotidianamente per lo
sguardo e per la memoria.
Ma c’è
un altro elemento, suggerito dalla lezione di Basilico, che vale la pena
indagare. E’ contenuto nel verbo nascondere:
nascondere quei luoghi storici e
monumentali che rendono [Roma] immediatamente
riconoscibile. In questo ‘nascondere’ si colloca un secondo modo per
sottrarre il soggetto agli automatismi della visione. E’, forse, un modo più
radicale di spiazzamento perché, rispetto al primo (l’allontanamento sullo
sfondo delle caratteristiche “abusate”), ‘nascondere’ il soggetto scatena –
come direbbe Arnheim – una “forza psicologica” più potente, che richiede allo
spettatore un contributo, in termini di interpretazione/decifrazione del
soggetto, che non può più essere solo di registrazione meccanica, ma pretende
un preciso lavoro di svelamento (= togliere il velo) e di riscoperta del
soggetto. E’ quanto avviene, ad esempio, in molte immagini di Franco Fontana
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Franco Fontana |
dove il
paesaggio è il soggetto “nascosto” dal ritmo delle forme e delle campiture di
colore. O nei ritratti-mosaico di Maurizio Galimberti
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Maurizio Galimberti |
Qui, il ritratto
frantumato in schegge dinamiche (ogni polaroid è una diversa prospettiva dello
sguardo), nasconde il volto del soggetto all’immediatezza percettiva del
riconoscimento e invita il al lettore a ritrovare l’unità nascosta del volto.
In tutti
questi casi, il denominatore comune delle immagini è la rottura di uno stato di
quiete della visione per ingaggiare la ricerca di un nuovo equilibrio visuale
e, con esso, un nuovo significato delle cose. Credo sia rinchiuso qui il senso
di una frase di Rudolf Arnheim (Arte e
percezione visiva) che porto, da tempo, sempre con me: la visione è una maniera creativa di afferrare la realtà. Come la
fotografia.
[1] Lavoro confluito nel
volume Gabriele Basilico. Roma 2007, a
cura di Angela Madesani, realizzato come catalogo dell’omonima mostra al
Palazzo delle Esposizioni di Roma curata da Marco Delogu.
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